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Ringrazio la Consigliera Lembi per le sue parole e per l’iniziativa odierna.
In questo mio intervento esprimerò la mia posizione con estrema schiettezza e trasparenza, come sempre cerco di fare.
Appena ho letto la notizia degli insulti a Giorgia Meloni, ho provato ribrezzo per quelle parole orribili e offensive espresse da un uomo nei confronti di una donna.
Poi ho cominciato a leggere le notizie delle varie dichiarazioni di solidarietà e ho pensato, d’istinto, che non avrei espresso pubblicamente la mia solidarietà, nonostante ritenga giusto e doveroso condannare sempre e comunque il linguaggio dell’odio. E che mi sarei sentita un’ipocrita a farlo.
Perché la solidarietà è definita come un “rapporto di fratellanza e di assistenza reciproca che unisce i membri di un gruppo”, come un “atteggiamento spontaneo, o concordato, rispondente a una sostanziale convergenza o identità di interessi, idee, sentimenti.”.
E io non mi sento in rapporto di “fratellanza” né in “identità di interessi, idee e sentimenti” con Giorgia Meloni, colei che ha “un rapporto sereno con il fascismo” (citazione), Presidente di un Partito che ha fatto dell’intolleranza e dell’insulto nei confronti delle minoranze il suo credo politico, identificando il “nemico” in chi è fragile e diverso. Utilizzando e avallando un linguaggio razzista, sessista, omofobo, usato anche da buona parte del suo elettorato sui social e fuori dai social.
Un Partito che vota contro la risoluzione europea sul razzismo dopo l’omicidio di George Floyd, che “i genitori sono solo padre e madre”, che non ha alcuna pietà per chi attraversa il Mediterraneo, che è pronto alle barricate contro lo ius soli e la legge contro l’omotransfobia e la misoginia.
Giorgia Meloni è colei che nel Giorno della Memoria ricorda l’Olocausto ci tiene a precisare che “anche i terroristi islamici odiano allo stesso modo”, che ha difeso i suoi compagni di partito rimasti seduti mentre il Parlamento applaudiva in piedi Liliana Segre.
Colei che quando un Consigliere Comunale del suo Partito scrisse “Lesbiche e gay ammazzateli tutti”, commentò “frasi gravi, ma nessuna lezione da Pd!”. Come se, di fronte a un rappresentante del tuo Partito che fomenta violenza e incita ad uccidere lesbiche e gay, la cosa importante fosse sottolineare di non voler prendere lezioni da un altro Partito.
Quando allenavo ho sempre creduto che, oltre ad insegnare la disciplina sportiva specifica, la differenza la facesse dare l’esempio. Non solo mostrando il gesto tecnico, ma soprattutto mostrandomi educata, senza mai urlare ai giocatori, insultare l’allenatore avversario o l’arbitro.
Quando indossavo la fascia da capitano in campo, cercavo di dare sempre il buon esempio alle compagne, soprattutto le più giovani, in campo e fuori. Non ho mai ricevuto un cartellino rosso in 28 anni di carriera, né un rimprovero verbale da un arbitro. Non ho mai fomentato i tifosi in tribuna né pronunciato parole offensive. Non ho mai bevuto una birra o fumato una sigaretta a fine partita. Dettagli, direte voi, ma sono i dettagli che fanno la differenza. Nello sport e nella vita.
Perché se fai l’allenatrice o la capitana, il tuo ruolo è anche e soprattutto quello di dare tu, per prima, il buon esempio.
Così come se guidi un Partito politico, perché poi su quella strada tracciata ti seguiranno i rappresentanti e i sostenitori di quel Partito.
Dare l’esempio è solo l’inizio, ma non basta. Occorre condannare fermamente episodi di violenza verbale e fisica, prendere le distanze da comportamenti e parole, prendere provvedimenti fermi e definitivi nei confronti di chi in quel Partito si augura la morte di tutte le lesbiche, tra cui la sottoscritta, e di tutti i gay. In un Paese civile non ci dovrebbe essere posto per chi la pensa così dentro le Istituzioni.
Perché chi rappresenta le Istituzioni ha il dovere di dare il buon esempio, sempre.
Io ho il dovere, come rappresentante dell’Istituzione Comune di Bologna, di dare il buon esempio.
Anche nei confronti di chi il buon esempio purtroppo molto spesso non lo ha dato.
Meritano condanna le parole ripugnanti del professor Giovanni Gozzini.
Come donna, lesbica, democratica, di sinistra, antifascista iscritta all’ANPI, Roberta Li Calzi la solidarietà a Giorgia Meloni non la vorrebbe dare. Per tutti questi motivi che ho appena elencato e per molti altri.
Come Consigliera Comunale, Presidente della Commissione Consiliare Parità e Pari opportunità, esponente del Partito Democratico, voterò a favore di questo Ordine del Giorno, esprimendo solidarietà a una donna che a sua volta rappresenta le Istituzioni, per adesione al principio ben fermo e solido dentro di me, secondo il quale nessuna donna debba essere insultata con parole come quelle pronunciate dal professor Gozzini, nemmeno la peggiore avversaria politica, nonostante sia a sua volta generatrice di pregiudizi e offese nei confronti del prossimo.
Era doveroso in quest’Aula non sottacere tutti i miei dubbi e convincimenti ed è nello stesso tempo doveroso oggi dimostrare la solidarietà per non lasciar passare, mai, la legittimità di tali offese sessiste.
Ci sarebbero molti validi motivi per non manifestare oggi la mia solidarietà. Condivisibili o meno, li ho esposti e argomentati a pieno diritto nel mio intervento.
Ma c’è un motivo più alto, che li supera tutti, per esprimere questa solidarietà: il senso delle Istituzioni e la responsabilità di rivestire una carica pubblica.
La differenza tra fascismo e antifascismo è, anche, nella forza di esprimere sempre le proprie idee, anche quando sono “scomode” o in minoranza. E di non nascondersi o fuggire di fronte a un’ingiustizia.
La solidarietà è un valore fondamentale. Oggi la esprimo nei confronti di una donna vittima di odio sessista.
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