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Grazie Presidente.
Cori fascisti e saluti al Duce. Così un drappello di tifosi juventini si è avviato domenica pomeriggio allo stadio Dall’Ara, percorrendo via Porrettana un’ora prima dell’inizio della partita.
Una marcia fascista: due minuti di "me ne frego della galera, camicia nera trionferà", con braccio teso e sfilata a ranghi compatti di cinquanta ultrà bianconeri, ben consapevoli di formare un corteo organizzato, forse non del fatto che a due passi da loro la curva ospiti sia dedicata ad Arpad Weisz, l'allenatore ebreo ungherese ucciso ad Auschwitz nel 1944.
Nella serata di ieri è arrivata la smentita della Questura in servizio d’ordine al seguito dei tifosi ospiti: per le forze dell’ordine non ci sarebbero stati cori fascisti, ma solo calcistici, tant’è che non si è proceduto ad alcuna identificazione. La sfilata oltraggiosa, però, sarebbe avvenuta prima di entrare nell’area dedicata agli ospiti, protetta e controllata dalla polizia.e
Pestaggi, blitz, aggressioni: la violenza nel nostro Paese è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi mesi. Con una matrice che è, spesso, la stessa: l’estrema destra, che sta tornando più prepotente che mai. In alcuni casi i responsabili sono ancora ignoti, ma i bersagli no: sono gli stessi contro cui si scagliano i fascisti.
Da Roma a Milano, passando per la Calabria, l'onda nera sta attraversando il Paese.
Il fascismo sta tornando? E se in realtà non se ne fosse, per certi versi, mai andato?
Se si vuole dare un significato concreto alle riflessioni che stanno facendo seguito alle azioni violente riconducibili all'estrema destra, si dovrà cercare di rispondere in modo articolato all'interrogativo che da giorni attraversa il dibattito pubblico.
La recente storia italiana testimonia di come militanti e simpatizzanti neofascisti abbiano tradotto tragicamente in pratica le parole d'ordine dell'odio e della sopraffazione cui è stato consentito di affermarsi. Se il fascismo sta "tornando", qualcuno gli avrà pure aperto, e da tempo, la porta.
Il discorso meriterebbe una trattazione per nulla apodittica, semmai improntata alla laicità, e non servirà dire che in altri paesi dotati di semplice coscienza civica, la condanna dei fascismi è cosa tacita, non soggetta a un continuo, strumentale, processo di revisione, necessario per avere consenso presso la pancia, o meglio, l'intestino di un paese. E questo perché, citando Francesco De Gregori, la destra italiana non può dimenticare che “Mussolini ha scritto anche poesie”. La leggenda resiste.
Il fascismo non è un’opinione. Non può esserlo in Italia, dove quell’ideologia e il regime che ne è stato espressione hanno condotto il Paese alla rovina e causato centinaia di migliaia di morti, lanciandosi in guerra dietro ai nazisti, oltre che distrutto ogni assetto istituzionale e perseguitato gli ebrei e le altre minoranze. Non può essere un’opinione, specialmente a distanza di lungo tempo, quando quelle convinzioni, rimasticate dagli anni e dai cattivi maestri, possono aggredire le generazioni più giovani che di quel dolore nulla sanno e sposano mode che sembrano fornire loro sicurezza nell’alveo di una nostalgia malata.
Per questo è non solo importante, ma fondamentale, parlare di antifascismo nelle scuole e nelle realtà aggregative delle giovani generazioni.
Essere antifascista vuol dire molte cose, alcune assai complesse, ma alcune semplici anche per chi non sa nulla di storia: il rispetto degli altri come persone di qualunque etnia o cultura, la tutela delle libertà fondamentali, la condanna della violenza fisica contro i deboli, il contrasto con tutto ciò che incoraggi le pratiche opposte (oppressione, illiberalismo, sopraffazione, antidemocrazia, razzismo… ).
Antifascismo è una parola importante, perché non è un valore astratto, ma è calata in una realtà storica, e noi facciamo parte di questa realtà; non si tratta di una generica bontà, di gentilezza, e nemmeno di tolleranza, ma è un termine che ha un senso per il presente, un concetto pieno, che esiste da più di un secolo e che indica una certa idea di mondo, in antitesi a tutte quelle idee che invece ritengono che questi, della tutela della libertà, della difesa delle minoranze, o del senso di giustizia contro gli oppressori, non siano dei valori condivisi.
Se c’è il fascismo – e c’è il fascismo – combatterlo vuol dire essere antifascisti, nonostante non ci sia più un duce che si affacci sui balconi o mandi al confino i dissidenti.
Bologna è antifascista e medaglia d'oro della Resistenza, ricordiamocelo ogni giorno, che ci fa tanto bene.
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