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Grazie Presidente
Si leggono in questi giorni numerosi articoli e prese di posizione sulla proposta di riforma del CONI avanzata dall’attuale Governo.
In qualità di persona che pratica sport e di Consigliera che se ne ne occupa anche sul piano politico e istituzionale, mi sento umilmente di poter dare un contributo in merito, che possa magari rivelarsi utile alla discussione anche a livello cittadino, posto che gli effetti di una riforma di questo tipo ricadrebbero a tutti i livelli territoriali.
Soggetto, o meglio oggetto, di tale riforma, è il CONI. Ovvero, di cosa parliamo?
Il CONI, emanazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), è autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive nazionali. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, Ente pubblico cui è demandata l'organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale, promuove la massima diffusione della pratica sportiva. Dopo le ultime modifiche normative del 2004, è la Confederazione delle Federazioni Sportive e delle Discipline Associate. Oggi è presente in 102 Province e 19 Regioni, riconosce 45 Federazioni Sportive Nazionali, 19 Discipline Associate, 14 Enti di Promozione Sportiva Nazionali e 1 territoriale, 20 Associazioni Benemerite.
A questi organismi aderiscono circa 95.000 società sportive per un totale di circa 11 milioni di tesserati.
Ora, prima che sul merito, ho forti dubbi sul metodo di questa riforma, che viene inserita dal Governo con poche righe nella legge di bilancio.
Il punto cruciale è che, in pratica, il potere economico non sarà più in capo al Coni Servizi, come adesso, ma ad una nuova società di ispirazione e nomina governativa, la c.d. “Sport e Salute Spa”. Al Comitato olimpico nazionale verranno infatti lasciati 40 milioni di euro per la preparazione olimpica, mentre ne verranno sottratti circa 370 milioni, che saranno utilizzati e distribuiti da questa nuova società.
Questo non può che far pensare a una vera e propria “occupazione” del mondo sportivo. Seppure venga ribadito dal Governo che l’autonomia del Coni non è in discussione, sappiamo bene che di “autonomia” si possa realmente parlare solo quando la stessa vada di pari passo con una certa capacità economica, soprattutto in un contesto come quello sportivo dove occorrono ingenti somme per garantire tutte le attività svolte da Federazioni ed Enti di Promozione.
La famosa “autonomia dello sport” è un principio fondamentale, seppure non sempre la c.d. “politica sportiva” abbia dimostrato di meritarla.
Perché, voglio chiarirlo, qui non si tratta di difendere lo status quo, ma di capire come si possa riformare davvero un mondo che vede picchi di eccellenza accanto a notevoli criticità, che in più occasioni peraltro la sottoscritta non ha mancato di segnalare, attivandosi anche con iniziative concrete, a cominciare dalla mancata parità di genere nel professionismo sportivo.
Preoccuparsi per gli effetti di una riforma di questo tipo non significa voler difendere aree di potere o privilegio, ma l'idea stessa che lo sport non possa e non debba essere piegato al controllo della politica. Facile immaginare cosa voglia dire disporre di 370 milioni di euro: la nuova società governativa deciderà chi premiare e chi punire quando dovrà decidere a chi elargire questa somma. Mentre il Coni continuerà unicamente ad occuparsi della preparazione olimpica, cioè di mansioni logistiche e organizzative.
Fino ad oggi mai era stato “assalito il fortino dello sport” in questo modo. E l’impressiona è che lo si stia facendo in maniera frettolosa, approssimativa, quindi pericolosa.
Stiamo parlando di un tessuto complesso e articolato, fatto di tecnici, atleti, società, associazioni, dirigenti, tesserati e famiglie, che mandano avanti lo sport nel nostro Paese, dalla pratica di base tra difficoltà e sacrifici, alle Olimpiadi che pure bisogna valorizzare perché rappresentano la vetrina internazionale e il sogno, che poi diventa l’obiettivo, delle nostre atlete e dei nostri atleti.
In un Paese dove la parola sport non compare nella Costituzione e viene ancora troppo spesso messa dietro la lavagna anche a scuola, dove pochi sono stati i Ministeri della Repubblica dedicati, dove ci sarebbe da fare un grande lavoro culturale nel mondo sportivo prima di tutto, in questo contesto la politica e le istituzioni nazionali decidono invece, come prima cosa, di occuparne lo spazio, partendo dalle risorse economiche a esso destinate.
E allora suggerisco al Governo di fermarsi un attimo e prendere tempo per discutere con i protagonisti e gli addetti ai lavori del mondo sportivo, perché si tratta di un argomento che attiene alla sfera culturale, sociale, politica e istituzionale.
La politica, le istituzioni e il sistema sportivo si assumano la responsabilità di lavorare a una riforma di sistema che provi a farsi carico delle trasformazioni della domanda di sport, della qualità dell’offerta, dei ruoli dei soggetti sportivi, che valorizzi l’aspetto sociale, educativo, inclusivo, e che affronti in maniera seria quale debba essere il rapporto tra sistema sportivo e politiche pubbliche.
Perché prendersi cura dello sport vuol dire anche formare buone cittadine e buoni cittadini.
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